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La tutela del consumatore tra diritto europeo e diritto italiano.


Il consolidarsi di una società capitalista ha avuto come effetto la vendita in massa di beni all’interno del mercato europeo, e ciò a fronte di una crescente domanda diretta al loro consumo.

Proprio con riferimento a tale contesto socio-economico, si parla di “era dei consumatori” i cui interessi sono da tempo oggetto di provvedimenti legislativi in ogni parte del globo.

Denominatore comune di questi provvedimenti è stato quello di assicurare maggiori tutele al consumatore, visto come contraente debole.


Siffatta esigenza di tutela, invero, nacque dapprima nel nord-America per poi diffondersi nei paesi occidentali e, infine, in Europa.

Per quanto concerne l’Italia, l’esigenza di tutela del consumatore non fu promossa da spinte interne, ma piuttosto venne imposta dall’alto: ossia dall’adesione dell’Italia all’Unione Europea.

A tal riguardo, giova richiamare il Trattato di Amsterdam (art. 153), con cui l’Unione Europea si pose l’obiettivo di promuovere gli interessi dei consumatori, offrendo agli stessi un livello adeguato di protezione.


Le scelte normative adottate in ambito europeo ebbero delle ripercussioni nel quadro normativo italiano, tanto da portare alla nascita di una legge sui diritti fondamentali dei consumatori (l. n. 281/1998) e, poi, ad un apposito codice del consumo (D.lgs. n. 206/2005).

Alla luce di questi rilievi, si nota come i contratti del consumatore traggono la loro fonte dal diritto comunitario, spesso influenzato dalle diverse tradizioni giuridiche di ogni Stato membro, e dalla diversa connotazione che assumono i sistemi di common law e civil law.

Per tale ragione, sembra porsi ancor di più l’esigenza di una interpretazione uniforme, risultando questa necessaria per coordinare un sistema ospitato oramai da una pluralità di fonti.


Ecco che a quest’ultimo scopo assolve la Corte U.E., con il compito di chiarire la portata di ogni norma eurounitaria, laddove un giudice interno abbia dei dubbi interpretativi su di essa.

Tuttavia, bisogna evidenziare come la diversità di tradizioni giuridiche di cui è influenzato il diritto U.E. possa aprire dei varchi all’interno del diritto comune di ogni singolo Stato membro.

A questo proposito, l’art. 129 cod. cons. pone a carico del venditore l’obbligo di consegnare beni che siano conformi al contratto di vendita, e ciò accentuando il momento della traditio del bene, rispetto a quello in cui le parti manifestano legittimamente il loro consenso.


Diversamente, e com’è noto, il contratto che ha ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa si intende perfezionato e produttivo di effetti reali già dal momento in cui le parti manifestano il loro consenso (art. 1376 c.c.); tali effetti, peraltro, si producono a prescindere dall’adempimento dell’obbligazione di consegna del bene che grava sul venditore.

Come rilevato in dottrina, la disciplina comunitaria pone invece in risalto la traditio del bene, al fine di valutare la correttezza della prestazione traslativa e la conformità del bene al contratto.


Nello stesso contesto normativo, affiora l’art. 46 del Codice europeo dei contratti, secondo cui i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa, la costituzione o trasferimento di altro diritto reale, producono effetti fra le parti, e nei confronti dei terzi, dal momento della consegna di essa all’avente diritto. Da questo spunto emerge, e con evidenza, un’esigenza di armonizzazione degli ordinamenti interni al diritto europeo, così come interpretato dalla Corte U.E.


Sempre nell’ottica dei rapporti tra diritto europeo e diritto interno, ad avere un grande impatto nel quadro normativo italiano è stata la disciplina delle cosiddette nullità di protezione.


In proposito, l’art. 36 cod. cons. prevede che la nullità di clausole abusive, sia iure et de iure sia fino a prova contraria, possa essere rilevata d’ufficio solo nei casi in cui la relativa declaratoria operi a vantaggio del consumatore. Trattasi di una nullità relativa che, oltre a non travolgere l’intero contratto, non permettere al giudice di valutare l’essenzialità della clausola ex art. 1419 c.c.

Sotto questo profilo, la disciplina consumeristica opera una deroga al normale regime delle nullità parziali, e questo nella prospettiva di meglio tutelare il consumatore quale contraente debole.

Pur tuttavia, autorevole dottrina ritiene che le nullità protettive devono essere intese in modo tale da poter valicare l’ambito consumeristico: ovvero come strumento generale per fronteggiare la diffusione di elementi di dannosità sociale (nullità di protezione virtuale).

Questo approdo interpretativo, a ben riflettere, sposa perfettamente l’opinione di coloro i quali ritengono che la concezione di consumatore non debba essere limitata a quella di persona fisica.


Si osserva, in sostanza, che la debolezza contrattuale di una parte dovrebbe essere desunta dal caso concreto, e non in astratto secondo categorie concettuali. Da ciò consegue che, anche una persona giuridica potrebbe, in contesti particolari, ricoprire la figura di contraente debole bisognoso di tutela; basti pensare, del resto, a quelle piccole imprese nella fase di start up, non dotate per questo di un adeguato bagaglio di competenze o conoscenze (know how).


A suscitare interessanti dibattiti, è stata la questione se il giudice, di fronte all’inerzia del consumatore, possa comunque rilevare d’ufficio la nullità ex art. 36 cod. cons.


Ebbene, la Corte U.E. ha avuto modo di affermare che il giudice interno ha l’obbligo di rilevare d’ufficio tale nullità, altrimenti non risulterebbe effettiva la tutela che la direttiva comunitaria ha voluto garantire ai consumatori.

In progressione di tempo, i giudici di Lussemburgo hanno anche precisato che è preclusa al giudice la possibilità di disapplicare la clausola ritenuta abusiva, lì dove vi sia un interesse (manifestato) del consumatore a farla rimanere in vita.

Per di più, la stessa Corte ha statuito che nei casi di omissioni informative, qualora per esse sia prevista la nullità del contratto, questa può essere rilevata d’ufficio, e per la prima volta, dai giudici di seconde cure.

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