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La proprietà come diritto fondamentale e inviolabile.




La ormai nascita di un sistema giuridico multilivello, composto dall’ordinamento di ogni Stato e da quello Eurounitario, ha avuto un grande impatto nei sistemi giuridici di ogni singolo Stato membro.


Questa premessa, porta con sè l’esigenza di un coordinamento tra fonti che operano oggi in un sistema normativo, sì complesso, ma che fonda le proprie radici su principi che accomunano tutti gli Stati aderenti.


In tale contesto, tuttavia, ci si è chiesti che ruolo assume oggi il diritto di proprietà: ossia se è da ritenersi un diritto fondamentale dell’individuo, o piuttosto un semplice diritto patrimoniale.

Una questione di tal fatta, necessita di una disamina, per quanto qui interessa, del quadro normativo italiano da porre in rapporto con le disposizioni comunitarie di interesse.


Com’è noto, con l’art. 42 cost. i padri costituenti hanno voluto garantire e riconoscere il diritto di proprietà, attribuendo al legislatore ordinario il potere di individuare dei limiti al suo esercizio per la salvaguardia di fini sociali.

Tale norma, a ben vedere, risente della variegata connotazione politica che caratterizzò l’Assemblea costituente: da una parte, coloro che intendevano la proprietà quale nucleo centrale della libertà individuale, dall’altra, coloro i quali ritenevano fosse necessario ancorare la proprietà ad una funzione sociale.


Con riguardo alla sua collocazione sistematica, il diritto di proprietà venne inserito nel titolo concernente i rapporti economici, e ciò partendo dalla considerazione che si trattasse di un diritto patrimoniale. In definitiva, si tratta(va) di un diritto di importanza costituzionale, ma di natura patrimoniale ben distinto dai diritti fondamentali ex art. 2 cost.


Sul versante della legislazione ordinaria, invece, l’art. 832 c.c. riconosce al proprietario il diritto pieno ed esclusivo di godere delle sue cose, seppur nei limiti previsti dall’ordinamento.


Dal tenore letterale di questa norma, si evince come il legislatore del 1942 abbandona quel concetto di assolutezza con cui il codice del 1865 aveva reso peculiare il diritto di proprietà.


Ecco che tale concetto di assolutezza del diritto di proprietà sembrerebbe riaffiorare in alcune disposizioni comunitarie, lì dove si parla di proprietà come diritto fondamentale e inviolabile.


A questo riguardo, giova richiamare l’art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti, dove la proprietà è considerato un diritto fondamentale; dello stesso tenore l’art. 1 del n. 1 protocollo addizionale della C.E.D.U., il quale intende il diritto di proprietà come diritto inviolabile.


Aderire ad una impostazione, piuttosto che ad un’altra, comporta delle rilevanti conseguenze in ordine al tipo di tutela da accordare a tale diritto. E’ noto, infatti, che la tutela risarcitoria costituisce, insieme alla tutela penale, un rimedio generale nel caso di violazioni di diritti inviolabili ex art. 2 cost.

Alla luce di queste considerazioni, ci si è interrogati se sia risarcibile, ex art. 2059 c.c., il pregiudizio non patrimoniale causato dalla violazione del diritto di proprietà.


Questa questione, in verità, ha assunto ancor più importanza in un contesto giurisprudenziale che è stato contraddistinto dalla rilettura dell’art. 2059 c.c., in una sua prospettiva di legalità costituzionale.

Bisogna ricordare che le recenti pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato la risarcibilità dei danni non patrimoniali, non solo nei casi previsti dalla legge, ma anche laddove vi sia stata una seria lesione ad un diritto fondamentale costituzionalmente protetto.


In ragione di tali orientamenti giurisprudenziali, e alla luce delle norme comunitarie, qualche Corte di merito ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale per violazione del diritto di proprietà.

In sostanza, qualche Corte di merito ha inquadrato la proprietà (art. 42 cost.) nell’alveo dei diritti inviolabili ex art. 2 cost., a favore dei quali, come già detto, viene riconosciuta tutela risarcitoria ai sensi del nuovo interpretato art. 2059 c.c.


In verità, tale impostazione risente di due note pronunce della Corte costituzionale, nelle quali la proprietà viene trattata alla stregua di un vero e proprio diritto fondamentale; tanto più che si ritiene che l’indenizzo espropriativo deve assicurare un serio ristoro al pregiudizio subìto dal proprietario.


In conclusione, v’è da sottolineare come nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo si è assistito ad una dequotazione della funzione sociale, e ciò nell’ottica di garantire un’effettiva tutela al diritto di proprietà, inteso come diritto fondamentale di ogni persona.


Tale scenario interpretativo, a ben riflettere, mal si attaglia con la diversa concezione (più rigida) di funzionale sociale esistente in alcuni ordinamenti interni.

Basti pensare, a tacer d’altro, alla Costituzione tedesca che pone precisi obblighi in capo alla proprietà, la quale deve essere finalizzata al bene della collettività.


In una visione più generale, la socializzazione di tale diritto, e così dei mezzi di produzione, continua ad essere per ogni ordinamento una conquista di democrazia in un contesto economico sempre più caratterizzato dalla concentrazione di ricchezza in angusti spazi della società.

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