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Smart working: quali diritti per il lavoratore?


Smart working
Postazione di smart working



Come noto di recente anche in Italia è stato introdotto per legge lo smart working. Ma chi ha diritto ad ottenere la possibilità di lavorare da casa o da altro luogo diverso dalla sede aziendale? Ci sono decine e decine di studi che dimostrano che concedere ai dipendenti la possibilità di lavorare da casa o, comunque, da luoghi che si trovano al di fuori dei locali aziendali costituisce un elemento estremamente positivo sia per il datore di lavoro che per il dipendente.

Nonostante questi studi, tuttavia, per molti anni, il tessuto imprenditoriale in Italia si è mostrato restio ad introdurre questa innovazione nei rapporti di lavoro. Nel 2017, lo smart working è stato introdotto per legge e, soprattuto in alcuni territori ed in alcuni settori produttivi, ha iniziato a farsi strada. Ma chi ha diritto allo smart working? La legge che ha introdotto il lavoro agile non prevede un vero e proprio diritto del dipendente ad ottenere lo smart working. Lavorare da casa resta, dunque, una concessione del datore di lavoro che può accettare o meno una eventuale richiesta in tal senso proveniente dal dipendente. Cosa significa smart working?

Con un certo ritardo rispetto a numerosi paesi europei, dove lo smart working è una realtà ormai da molti anni, anche in Italia, nel 2017, è stata approvata una legge che introduce il lavoro agile o smart working. Lo smart working, in realtà, non è un’invenzione della legge, ma è un fenomeno legato ai profondi cambiamenti intervenuti nei rapporti di lavoro insieme all’avvento delle tecnologie nei luoghi di lavoro.

La legge, dunque, non ha fatto altro che certificare (anche se con un certo ritardo) un fenomeno nei fatti già diffuso e già regolamentato in alcune realtà aziendali da specifici accordi in materia. Occorre, inoltre, ricordare che già dal 2004 le parti sociali avevano introdotto, con uno specifico accordo sindacale, la possibilità del dipendente di lavorare anche al di fuori dei locali aziendali, con il cosiddetto telelavoro, una sorta di smart working ante litteram.

Non è stata, dunque, la legge ad inventarsi lo smart working. Il lavoro agile deriva dai cambiamenti del mondo lavorativo determinati dalla rivoluzione tecnologica. Molti dipendenti, oggi, svolgono il proprio lavoro usando uno o più strumenti tecnologici. Per queste tipologie di dipendenti stare in ufficio fisicamente, rispettare un certo orario di lavoro e passare il badge è qualcosa di assolutamente ininfluente in quanto le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro consentono loro di operare ovunque, anche al di fuori dei locali aziendali. Inoltre, con riferimento a queste figure professionali, non è importante definire quante ore si lavora ma, piuttosto, tenere a mente i progetti e gli obiettivi da raggiungere. In questi casi, dunque, vengono a sfumare due concetti chiave nel contratto di lavoro subordinato per come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi: la sede di lavoro e l’orario di lavoro. Prendendo atto di questi profondi sconvolgimenti, la legge, allo scopo di incrementare la competitività delle aziende e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro da parte dei lavoratori, ha introdotto il lavoro agile (o smart working) come modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, nella quale il lavoro del dipendente si articola anche in forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Lo smart working, dunque, non è un nuovo tipo di contratto di lavoro. E’ solo un modo diverso di eseguire un normale contratto di lavoro subordinato, nel quale tempo e luogo di lavoro sfumano e diventano secondari in quanto assume prevalenza il raggiungimento di un progetto, di un obiettivo, di una fase di lavoro.

Per questo, nello smart working, la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. L’accordo di smart working: contenuto e forma.

La legge che ha introdotto lo smart working prevede che siano direttamente le parti del rapporto di lavoro a decidere di modificare le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro prevedendo la possibilità del dipendente di lavorare anche al di fuori dei locali aziendali, senza particolari vincoli di orario.

La disciplina dello smart working è, dunque, rimessa ad un accordo tra le parti che definisca le modalità concrete di implementazione del lavoro agile. Essendo un accordo bilaterale tra azienda e dipendente, l’accordo presuppone necessariamente il consenso di entrambe le parti e la volontà comune di attuare lo smart working.

L’accordo di smart working deve contenere:

  • dati identificativi delle parti del rapporto di lavoro;

  • modalità di attuazione dello smart working e, dunque, dove verrà svolta la prestazione di lavoro al di fuori dei locali aziendali, quali strumenti informatici vengono dati in uso al dipendente per lavorare fuori dei locali aziendali, etc.;

  • modalità attraverso cui assicurare il diritto alla disconnessione del dipendente: con lo smart working, infatti, si rischia di eliminare qualsiasi confine tra vita professionale e vita lavorativa visto che la prestazione di lavoro viene eseguita in larga misura attraverso gli strumenti informatici;

  • modalità di comunicazione al datore di lavoro dell’inizio e della fine della prestazione di lavoro;

  • modalità di esercizio da parte del datore di lavoro del potere direttivo e di controllo sul lavoratore;

  • durata dell’accordo di smart working.

Con lo smart working, come abbiamo detto, le parti non danno vita ad un nuovo contratto di lavoro ma, semplicemente, modificano le modalità di esecuzione della prestazione relativa ad un contratto di lavoro già in essere.

Per questo, tale modifica alle modalità esecutive della prestazione può essere anche solo momentanea e può esserci dunque un accordo di smart working a tempo determinato o un accordo di smart working a tempo indeterminato.

In quest’ultimo caso, è fatta comunque salva la possibilità, per ciascuna delle parti, di recedere dall’accordo di smart working dando all’altra parte un preavviso di recesso di almeno 30 giorni. Il preavviso diventa di 90 giorni quando il dipendente è disabile.

L’accordo di smart working deve anche prevedere delle previsioni relative alla tutela della salute e della sicurezza dello smart worker. Questo profilo è particolarmente delicato. Infatti, il datore di lavoro resta responsabile della tutela della salute e della sicurezza dello smart worker anche se, di fatto, lo smart worker opera in un ambiente di lavoro che non è messo a disposizione, e dunque controllato, dal datore di lavoro.

Di solito, si allega all’accordo di smart working un' informativa del datore di lavoro con cui si spiegano allo smart worker alcune regole di comportamento da seguire per evitare problemi di salute (ad esempio, distaccarsi dal videoterminale ad intervalli di un certo numero di minuti, mantenere una posizione eretta, norme sull’illuminazione dei locali, etc.). Dal canto suo il dipendente, se lavora da casa, dovrà attestare che l’ambiente di lavoro è salubre e privo di rischi per la salute.

Lo smart working è un diritto?

Chiarito cos’è lo smart working e come funziona, veniamo al punto saliente: chi ha diritto allo smart working. In linea generale, occorre premettere e ribadire che, come detto, lo smart working non è obbligatorio per legge. La normativa introdotta, infatti, non fissa un obbligo del datore di lavoro di riconoscere necessariamente il lavoro agile ai dipendenti che lo richiedono o a quelli che hanno determinate caratteristiche.

La scelta di dare vita allo smart working è frutto della libera volontà delle due parti, datore di lavoro e dipendente. Nessuno dei due ha, quindi, la possibilità di esigere od imporre all’altro il passaggio allo smart working.

Chiedere è senz’altro lecito e, dunque, sia l’azienda che il dipendente possono chiedere all’altra parte di introdurre lo smart working. La parte che riceve la richiesta, tuttavia, essendo necessario il consenso di entrambi, non è obbligata a dire sì. In realtà, questo principio ha subito perlomeno una attenuazione ad opera della legge di bilancio per il 2019. Infatti, è stata introdotta una modifica della disciplina sullo smart working in base alla quale quei datori di lavoro, siano essi pubblici o privati, che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti, in ogni caso, a riconoscere priorità alle richieste formulate da:

  • lavoratrici madri nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità;

  • lavoratori con figli in condizioni di disabilità.


La norma è stata introdotta da poco tempo e non è dunque ancora chiaro come verrà applicata ed interpretata. Da una prima lettura, tuttavia, si può affermare che quei datori di lavoro che hanno già sottoscritto degli accordi di smart working con altri dipendenti non sono più del tutto liberi nella stipula di altri accordi di lavoro agile. O meglio. Restano liberi di decidere se firmare o meno altri accordi di smart working ma, se decidono di farlo, dovrebbero accogliere in via prioritaria le richieste di smart working provenienti dalle due categorie di dipendenti che abbiamo appena visto.


Oltre a questa disposizione di legge occorre ricordare che, in alcune aziende, l’applicazione dello smart working è stata oggetto di specifici accordi sindacali tra azienda e sindacati. In alcuni casi questi accordi prevedono un vero e proprio diritto allo smart working per certe categorie di dipendenti, che si trovano in determinate condizioni, e nel rispetto di determinati limiti percentuali fissati nell’accordo sindacale stesso.




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